Castello dell’Acqua nel medioevo: una fortezza, una famiglia, una comunità

All’interno del progetto “Le radici di un’identità”, coordinato dalla Comunità Montana di Sondrio (responsabile scientifico Rita Pezzola) e finanziato da Fondazione Cariplo, l’Università di Bergamo si sta occupando di una ricerca interdisciplinare, che, attraverso indagini storiche d’archivio (llyes Piccardo), lettura dei dati archeologici e delle architetture (Federico Zoni) e rilievo e restituzioni 3D (Francesco Sala), intende apportare nuovi contributi alla conoscenza storica del luogo e fare rivivere, anche virtualmente, il castello. Le origini di Castello dell’Acqua rimangono tutt’ora in ombra. Anche se c’è ancora molto da fare e nuovi dati emergeranno entro la fine della ricerca, i lavori intrapresi contribuiscono a meglio mettere a fuoco quanto si sa sulla storia del luogo. Molti indizi suggeriscono che il castello sia stato costruito tra Due e Trecento, durante quella che potremmo definire la terza fase dei castelli valtellinesi: nella prima, che copre l’XI secolo, diversi villaggi (per esempio Sondrio, Sondalo, Tresivio) erano stati fortificati. Nella seconda, durante il XII secolo, il vescovo e i suoi vassalli avevano eretto poderose fortificazioni, con alte torri in pietra (per esempio a Berbenno e Caspoggio). Nella fase di cui stiamo parlando, sorgono nuovi castelli, legati a famiglie un po’ meno note. Sono spesso caste-l li, come inizia a emergere dalle indagini di Federico Zoni, meno rifiniti dal punto di vista delle tecniche edilizie, che per risparmiare usano materiali meno pregiati e meno lavorati. Questo è il caso di Castello dell’Acqua, la cui storia è legata a quella dell’omonima famiglia. Dei dell’Acqua sappiamo ancora poco, anche se l’articolo di Vittorio Toppi, in questo stesso numero, contribuisce a mettere ordine. Mi concentro soltanto sui dati più antichi. Famiglie con questo nome compaiono già nel XlI secolo sul lago e a Morbegno, dove due personaggi, Passaguerra e Crollamonte dell’Acqua, appaiono legati al monastero comasco di Sant’Abbondio nel 1197 e nel 1198: è però possibile che si tratti soltanto di omonimie. Senz’altro, alla metà del XIII secolo è documentato un certo Vivenzio dell’Acqua di Tresivio (nel 1243) e, soprattutto, nel territorio di Chiuro, al cui interno si tro­vava anche Castello dell’Acqua, viveva­ no due fratelli riconducibili alla nostra casata, Arnoldo e Guglielmo, che nei documenti venivano chiamati con il ti­ tolo di riverenza che si riservava alle fa­miglie aristocratiche, “ser” (nel 1248 e nel 1266). È dunque in questo perio­do, diciamo indicativamente attorno al­ la metà del Duecento, che probabil­mente sorge la nostra fortezza: un piccolo presidio militare, forse già pensato per controllare la principale risorsa eco­nomica delle Orobie, vale a dire la pro­duzione del ferro. In questa prima fase il castello, così come è emerso dagli scavi meticolosamente diretti negli anni Novanta da Roberto Caimi, si presentava in forme piuttosto spartane: la torre, la cisterna, due spazi aperti su un lato e dotati di una copertura, oltre a pochi altri ambienti che non sono stati anco­ra scavati. Nel 1310, ne abbiamo finalmente una menzione certa nei documenti: è addirittura il vescovo di Como, a cui forse frattanto i dell’Acqua si sono le­gati, che vi soggiorna. Di certo, nel cor­so del Trecento il castello cambia volto: è questa la sua età d’oro. Mentre altri rami dei dell’Acqua sono stanziati altro­ ve, a Chiuro (dove sono tra le famiglie più importanti del vivace abitato), Tre­sivio, Teglio, a Tirano e Stazzona (luo­ghi dove Lanfranco dell’Acqua fu alla guida del comune locale con la carica di podestà, rispettivamente nel 1297 e nel 1311), uno soggiorna stabilmente nel castello. Il ramo dei signori dell’Ac­qua che vi risiede è quello di Antonio, detto Togno, attestato come abitante nel 1377, di Lazzarina, documentato nel 1386, anche come console (una sorta di sindaco) del comune di Chiuro, di cui – non dimentichiamolo – Ca­stello dell’Acqua continuava a fare parte, di Giovanni, uno degli uomini di pe­ so della parte ghibellina in Valtellina (da atto del 1395),di lsonino e France­sco, presenti nel 1394, e infine di Gio­vanni e Alessandro, documentati nel 1456. Probabilmente proprio in questo periodo, nel corso del Trecento, il castello potenzia le sue strutture residen­ziali per ospitare i numerosi dell’Acqua che vi abitano: per esempio, gli spazi aperti vengono chiusi con un muro e in uno di essi viene anche impiantato un focolare, per costituire, lo si deduce da­ gli abbondanti resti di ossa, una cucina. Ormai, attorno alla fortificazione si è formato un borgo, con la chiesa di San Michele, che continua a essere, co­me la definiscono alcuni documenti (per es. del 1382, del 1460 e del 1461), una contrada (contrata in latino) di Chiuro. Una scrittura del 1382rivelain­ fatti che la chiesa di San Michele, offi­ciata da un prete originario del Coma­sco, è sita all’interno del borgo (burgus in latino). Un altro documento, del 1394, precisa che alcune case dei si­gnori dell’Acqua si trovavano all’interno del borgo, nei pressi della porta dello stesso: se c’era una porta del borgo possiamo pertanto immaginare che esistesse anche una cinta muraria, che potrebbe coincidere con le tracce trovate dagli archeologi in prossimità dell’area del castello. È dunque in que­sto periodo che si sviluppa il borgo sul pendio, di cui le operazioni di pulizia del verde recentemente promosse dal Comune di Castello dell’Acqua all’inter­no del già citato progetto “Le radici di un’identità” hanno permesso di rende­re le abitazioni meglio leggibili. Il bor­go, che si estendeva sulle pendici del colle dal castello fino alla chiesa, inizia a essere popolato da abitanti, per lo più provenienti da Chiuro o da altre lo­calità delle Orobie: nei documenti tre­centeschi abbiamo trovato individui originari di Liuola (nella Bergamasca) e di Ambria. Molti non dovevano pas­sarsela troppo bene, se nel 1382 un generoso abitante di Castello, un certo Coduro Tizzone, decise di lasciare10 li­ re, che all’epoca non erano neppure una piccola somma, ai “poveri e infer­mi di Castello dell’Acqua”. Ma più in generale, i documenti del Trecento mostrano come la popolazione che abita­ va il territorio di Chiuro ol­tre l’Adda, cioè l’attuale territorio comunale di Ca­ stello dell’Acqua, fosse sparpagliata in diversi abi­tati: per esempio, a fine Trecento troviamo case nelle località di Pontigna­no, Cagurano, Cornagera, al Barco (in Val d’Arigna); baite presso gli alpeggi della località Aiada e fuci­ne nella località ad Treme­dium, sull’Armisa, forse nei pressi di Tripoloppu­ re vicino all’attuale locali­tà, ora in territorio di Pon­te, “ai Forni” (quest’ultimo nome è senz’altro noto da inizio Cinquecento, ma per il periodo precedente le ricerche devono essere ancora approfondite). Pro­prio a inizio Cinquecento (l’epoca meglio nota per Castello dell’Acqua, anche grazie alle ricerche di Die­ go Zoia), buona parte della popolazio­ne di Chiuro viveva oltre l’Adda, sul versante orobico. Almeno dai primi de­ cenni del Quattrocento – lo sappiamo da un atto valorizzato da Massimo della Misericordia – la chiesa di San Mi­chele diviene il riferimento per l’intero territorio di Chiuro oltre l’Adda, emancipandosi dalla tutela parrocchiale della chiesa di San Giacomo di Chiuro. Ma di cosa viveva la gente dell’Oltre Adda? Senz’altro il ferro era una risorsa fondamentale. Come abbiamo visto, sull’Armisa, ai confini con il territorio di Ponte, si trovavano diverse fucine. Non distante dal castello esisteva inoltre la Valle del Forno (1386 e 1394, tra il ca­stello e la località Cornagera), con forse un riferimento alla presenza di forni fu­sori. Gli stessi dell’Acqua non doveva­no disprezzare l’affare. Neppure la no­bile casata dei dell’Acqua, che per via matrimoniale in questo periodo si era imparentata ai Quadrio di Chiuro (altri grandi imprenditori del ferro), ai Besta e ai Lazzaroni di Teglio e ai Federici della Valcamonica e che gestiva anche importanti alpeggi, come quelli di Staz­zona e di Stavello sopra Brusio, doveva disprezzare le ricchezze che venivano dalla metallurgia. Come indizio, basti pensare che un atto del 1391 prevedeva che Lazzarina dell’Acqua saldasse in ferro una parte del debito maturato nei confronti di un mercante comasco per l’acquisto di drappi e spezie. Lo stesso anno, un altro signore di Castello, Gio­vanni dell’Acqua, pagò un carico di merci comprato da un altro mercante comasco in vergelle di ferro. Inoltre, Antoniola dell’Acqua, insieme al marito Andriolo Quadrio, nel 1381 possedeva una fucina con tre paia di mantici a Corteno, all’imbocco della Valcamoni­ca, dove la famiglia aveva proprietà al­ meno dalla metà del Trecento. Il caste­llo continuò a vivere per tutto il Quat­trocento, abitato dai dell’Acqua, alme­no fino agli anni Settanta del Quattro­cento, secondo le ricerche di Maria Aurora Carugo. Gli scavi mostrano la continuità d’uso negli ultimi decenni del secolo, prima che, nel Cinquecen­to, venisse abbandonato.

A cura di Riccardo Rao, Università di Bergamo

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