Tre lezioni di archeologia con gli esperti. Bambini entusiasti al lavoro con i reperti

Piccoli archeologi crescono … a Piateda. E non poteva che esserci paese più azzeccato vista la presenza del paesaggio archeo-minerario della val Venina, dove si trova il forno fusorio di epoca medievale. Questo veniva utilizzato per purificare la siderite da cui si otteneva un materiale più pulito e meno pesante da portare a valle per essere lavorato nelle fucine, come quella di Boffetto, frazione che prende nome proprio dal mantice per alimentare il fuoco. All’interno del progetto “Le radici di un’identità” (bando Emblematico maggiore, cofinanziato da Fondazione Cariplo, Comunità montana di Sondrio e dai Comuni del mandamento), dopo la “summer school” dello scorso mese di settembre dedicata agli studenti universitari, è stata promossa, nei giorni scorsi, un’altra iniziativa questa volta rivolta alla scuola primaria di Piateda. L’archeologa Ilaria Sanmartino, insieme a una collega, ha portato in classe l’archeologia. «La “scuola di archeologia” è partita con la scuola primaria di Piateda dell’istituto comprensivo di Ponte in Valtellina e con l’istituto comprensivo di Berbenno – spiega Rita Pezzola, coordinatrice del progetto -. Sono garantite tutte le precauzioni richieste dal periodo che stiamo vivendo, ma non vogliamo che i bambini rinuncino a un’offerta formativa che resterà per tutta la vita. Sono, queste, esperienze di territorio. Quando verrà la bella stagione, si potrà pensare anche alla scuola all’aperto. Mi piace sottolineare come la ricerca scientifica dell’università di Torino entri nella classe dei piccoli. D’altra parte, la nostra sfida è anche quella di declinare con diversi linguaggi le scoperte più nuove». Sanmartino, insieme a una collega, ha tenuto alla primaria di Piateda tre incontri con le due classi quinte in cui ha spiegato cosa sia l’archeologia, come lavori l’archeologo per proseguire con un affondo sul tema dell’archeologia mineraria e metallurgica in riferimento a quanto c’è in “casa”, proprio in val Venina. «I ragazzi di quinta, che sono più grandicelli, si sono mostrati molto ricettivi e incuriositi anche dal patrimonio presente sul territorio – afferma Sanmartino -. Abbiamo ripercorso i luoghi delle miniere e dei forni per ricostruire il puzzle della storia che a loro appartiene. In terza e quarta ci siamo soffermate sul lavoro dell’archeologo; in particolare con gli alunni di terza abbiamo fatto un laboratorio. Ho preparato una simulazione della stratigrafia con una cassetta con strati diversi di terra al cui interno c’erano frammenti di cocci e la riproduzione di un oggetto intero. Dopo aver seguito la lezione e spiegato il principio stratigrafico, che sta alla base del nostro lavoro, gli studenti sono arrivati a trovare il reperto e hanno compilato, come si fa in cantiere, la scheda di reperto archeologico. Alla fine si sono portati a casa vasetto e scheda». Giornate entusiasmanti per gli alunni. «Già il fatto che archeologo possa essere una ragazza li ha stupiti, perché nell’immaginario collettivo pare una professione maschile – prosegue l’archeologa -. Ho cercato anche di smitizzare questa professione. Si tratta di un lavoro che è fatica, braccia e picconi». Eppure questo mestiere non ha perso fascino .

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